La camera in fondo al corridoio è vuota, tranne che per una sedia con tre gambe e un pannello dorato, fissato su una parete macchiata di umidità e polveri sottili. Dal terzo piano, si guarda Dante dritto negli occhi. L'imponente statua, nell'omonima piazza, dista solo pochi metri, e dalla finestra aperta arrivano i rumori della strada sottostante, affollata nonostante il caldo del primo pomeriggio.
Per Estate – la seconda stazione delle Sette stagioni dello spirito, un progetto espositivo itinerante e in fieri realizzato con il supporto della Fondazione Morra e del MADRE – Gian Maria Tosatti ha scelto la vecchia sede dell'Anagrafe, un edificio maestoso e abbandonato nel cuore di Napoli, "talmente visibile da diventare invisibile", ha scritto il curatore Eugenio Viola. La prima tappa, "La peste", è stata allestita in largo Banchi Nuovi, nella chiesa barocca dei SS. Cosma e Damiano, chiusa dalla Seconda Guerra Mondiale e riaperta dall'artista romano da settembre 2013. Un passaggio dal sacro al secolo, per mostrare i simboli della chiesa e dello stato laico, privati della loro funzione, come vestigia polverose di una civiltà decaduta. Architetture in disuso che ritagliano zone d'immobilità improvvisa nel flusso urbano, tra intonaco scheggiato, finestre sbarrate e silenziose rampe di scale.
Piazza Dante è uno dei luoghi più frequentati della città partenopea, un punto di snodo fondamentale per la viabilità e la vita cittadina. Tra negozi, bar, librerie, birrerie e una fermata della metropolitana, è difficile immaginare ciò che si nasconde dietro la facciata del maestoso edificio pubblico, una volta brulicante di timbri e circolari, relitto sommerso della burocrazia. Il signor K. qui si sarebbe sentito a casa.
Il percorso deve essere fruito in solitaria, il visitatore ha completa libertà di tempo, spazio e coinvolgimento. Prima di arrivare alla rampa di scale che conduce al piano dell'allestimento, c'è un cancello socchiuso. Impossibile non cedere alla tentazione di forzarne i cardini per esplorare il cortile, circondato da quattro piani di finestre e invaso da detriti di ogni tipo, sui quali la vegetazione ha imposto la propria necessità, ramificandosi in composizioni assurde di foglie e ruggine. Il tempo è una misura relativa, lo è per le piante selvagge – che hanno sfondato il pavimento arso dal sole e avvolto le colonne – e anche per il visitatore, che potrebbe passare ore intere solo ad immaginare come possa essere finito un copertone di automobile nel cortile di un'anagrafe. La mostra è al terzo piano ma l'occasione per continuare a esplorare è troppo invitante. Muri di faldoni e casellari, gallerie profonde di atti di nascita, di morte e di matrimonio, di registri dei chiamati alla leva e dei caduti della Grande Guerra. Carta di ogni grammatura, inchiostro, nomi e cognomi, vasetti di fiori secchi, portapenne vuoti. Nel silenzio e nell'umidità, scorrono date che vanno dal 1800 al 1990. Alle pareti, sono attaccati avvisi del capoufficio e vecchi articoli di giornale, tra i quali spicca un "Napoli 2 – Stoccarda 1", risalente al 1989.
"Divisione elettorale", piano III. Nell'ingresso, un fascio di luce entra dalla finestra ma illumina a malapena il grande ambiente. Sulle scrivanie ci sono registri aperti, matite appena temperate, telefoni in bachelite attaccati alla presa, quello che rimane dello statuto burocratico. Un ammasso di fascicoli, coperti da un telo grigio come fossero un corpo unico, minaccia l'ordine, un blob che ingloba le cose e sembra trasudare dalle pareti, dal pavimento, partendo dall'angolo della camera. È ciò che Philip K. Dick avrebbe chiamato "kipple", l'incubo dei terrestri in "Ma gli androidi sognano pecore elttriche?", ultimi abitanti di un pianeta in procinto di disintegrarsi. Nella traduzione italiana, è la "palta", fatta di "oggetti inutili, inservibili, come la pubblicità che arriva per posta, o le scatole d fiammiferi dopo che hai usato l'ultimo, o gli involucri delle caramelle o l'omeogiornale del giorno prima. Quando non c'è più nessuno a controllarla, la palta si riproduce", tra uffici e corridoi, scrivanie appesantite da computer dalle linee arcaiche, monitor incrinati, gli ultimi modelli delle macchine da scrivere, simbolo inquietante dell'obsolescenza tecnologica.
Gli schemi culturali della società diventano sterili e intricati diagrammi, composti da plastica e carte di identità, che il visitatore deve decodificare. Gli oggetti inerti scandiscono un percorso a ritroso, oltre la superficie della società civile, verso un momento originario in cui tutto è massa indistinta. Per questo, le mete ideale del viaggio sono la sedia a tre gambe e il pannello dorato, che si fronteggiano come emblemi della sospensione, ipostasi della staticità al di là dell'ordine mutevole delle cose. Un'Anagrafe abbandonata è un labirinto di storie, nel quale ogni ambiente è una soglia comunicativa, dove la narrazione degli stati civili, dei nomi e delle grafie degli impiegati si sovrappone alla lingua babelica dei materiali lasciati a sé stessi. Per questo, in alcuni momenti, si perde il filo dell'operazione artistica. Le installazioni, "umane troppo umane", sono inserite in un contesto che, avendo rigettato le regole antropiche, segue un proprio canone costruttivo, impone uno specifico ritmo percettivo. Però, proprio nel confronto impari con questo sistema stratificato e indipendente è il senso ultimo dell'intervento, che vuole portare allo scoperto quel caos che si frappone tra gli oggetti che, ostinatamente, costruiamo.
ESTATE / SETTE STAGIONI DELLO SPIRITO – Gian Maria Tosatti, a cura di Eugenio Viola.
Visitabile fino al 5 agosto 2014, martedì / domenica, ore 13.00 – 19.00
ex Anagrafe Comunale, Piazza Dante, 79 Napoli